Attenzione: dal 19 dicembre 2024 questo sito non sarà più aggiornato fino alla sua progressiva dismissione.
Clicca qui per accedere ai nuovi portali tematici di ACI.
Sei in Home / L'ACI / La Federazione / Profilo / Il manifesto per un'etica della mobilità responsabile
Premessa
Fondato nel 1905, l'Automobile Club d'Italia ha girato la boa del nuovo secolo non soltanto festeggiando un compleanno significativo, ma anche ripensando il proprio essere e il proprio dover essere.
L'ACI, che da sempre ha fatto della mobilità la sua finalità istituzionale, non può restare insensibile ai mutamenti che si sono verificati nella società italiana degli ultimi decenni, facendo evolvere l'ambito dei propri interessi e obiettivi da una mobilità intesa come trasporto di persone e cose alla più generale mobilità dei processi individuali e collettivi, di cui si propone di cogliere le criticità e di ricercare soluzioni sulle quali richiamare l'attenzione di operatori e istituzioni. La rinnovata missione di ACI traduce un mezzo ormai maturo, l'automobile, in un messaggio innovativo, quello, appunto, della mobilità responsabile, riferita al legame essenziale tra la mobilità come espressione di libertà personale e la mobilità come espressione delle relazioni con l'ambiente circostante.
L'ACI intende promuovere e diffondere il valore della mobilità responsabile, tra le proprie strutture associative interne e nel proprio ruolo esterno, nel mondo sociale, politico e istituzionale. L'ACI è, infatti, un sistema a rete, capace di valorizzare ulteriormente le potenzialità operative riferibili alla sua natura di servizio globale e di esprimere nella propria stessa articolazione sia l'interesse individuale sia l'interesse collettivo, la cui integrazione dinamica costituisce l'essenza più profonda di un'etica della mobilità responsabile.
L'automobile, ieri icona di libertà personale, oggi strumento di mobilità responsabile, richiede una nuova "capacità di guida".
L'identificazione dell'automobile con la libertà personale ha accompagnato tutto il secolo scorso, anche se l'evidenziarsi delle conseguenze negative di quel modello di mobilità ha indotto dubbi sulla compatibilità fra esigenze dell'individuo ed esigenze della collettività. In realtà, si tratta di esigenze entrambe irrinunciabili e sopratutto inscindibili in una prospettiva democratica, per cui appare indispensabile giungere a proporne una sintesi valoriale e operativa. Proprio la fenomenologia dell'automobile offre un esemplare piano di riflessione sul senso di responsabilità che l'individuo deve avere nei confronti di se stesso e dei suoi simili. La "capacità di guida" del singolo utente ha sempre comportato molto più che una semplice competenza tecnica, proiettandola in un contesto di avvertenze che vanno dal controllo della velocità alla cura del mezzo, dalla protezione di sé alla protezione degli altri. Questo quadro di responsabilità ha reso la guida delle automobili una vera e propria metafora della umana capacità di dominare le risorse offerte dallo sviluppo tecnologico, nella piena consapevolezza dei pericoli che comporta e quindi dei dispositivi educativi e normativi necessari a evitarli.
La mobilità va vissuta non come impulso alla competitività in un mondo concorrenziale, ma come stimolo a relazioni e condivisioni programmatiche.
I complessi spostamenti demografici e i crescenti scambi economici e culturali, che caratterizzano la globalizzazione contemporanea, richiedono una inedita riflessione sulla mobilità come valore e sulle sue condizioni teoriche e pratiche. Concepire la mobilità come un valore da maturare e da condividere non significa semplicemente esaltarne le caratteristiche tecnologiche e le connesse possibilità spaziotemporali, in poche parole il fatto di potersi muovere sempre più veloci e sempre più lontano. Significa, invece, sapere dove, perché e verso chi andare. Da questo punto di vista, che presuppone la fondamentale e creativa dimensione dell'incontro, la mobilità si risolve al contempo in una opportunità e un rischio: per sé e per gli altri. Questo rapporto tra opportunità e rischio e questa correlazione tra sé e gli altri inseriscono la mobilità in un quadro intenzionale e funzionale di responsabilità e di reciprocità. Ci si può muovere per perdersi o per ritrovarsi, per perdere o per ritrovare gli altri. Ci si può muovere per conoscere o per disconoscere. Ci si può muovere rispettando o sopraffacendo. Ci si può muovere per trarne piacere o per arrecare dolore. Scegliere tra l'una e l'altra opzione chiama in causa una sollecitante istanza etica.
La prospettiva etica, sempre più necessaria, deve trasformare la mobilità in un progetto di sviluppo sostenibile, che coinvolga l'intero corpo sociale.
Se l'etica si esprime in progetti d'insieme, se l'etica tende a unire i soggetti individuali in soggetti collettivi sempre più dilatati e comprensivi, una etica della mobilità deve individuare le concrete modalità per rendere 'responsabile' tale mobilità, non escludendo nessuno, ma diventando uno strumento di confluenza e di solidarietà. Sulla base di questa istanza, l'etica della mobilità deve proporsi l'individuazione di nuovi criteri normativi e comportamentali nei confronti di una mobilità adeguata ai contesti culturali e sociali dell'Italia di oggi e di domani: indicando soluzioni tecnologicamente opportune nonché economicamente compatibili; affrontando in maniera prioritaria i problemi del rispetto dell'ambiente, della sicurezza individuale e collettiva, dei bisogni essenziali delle diverse categorie sociali, comprese le minoranze e le utenze deboli. Si richiede alle pubbliche istituzioni, con la creazione di quadri normativi in grado di evitare tensioni e disagi, la capacità di coinvolgere tutti gli interessati nelle scelte da adottare. E' dunque necessaria una particolare sensibilità per i sistemi complessi, che si traduca in attenzione per un benessere individuale e collettivo, nel quale coinvolgere anche gli attori sociali sinora confinati in condizioni di marginalità.
La tutela dei diritti alla mobilità deve tradursi nella garanzia dei servizi, grazie a nuove soluzioni, orientate al rispetto per l'ambiente.
Dopo l'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, sul terreno dei trasporti il passaggio a scelte dettate da una razionalità globale richiede una più stringente analisi del bisogno sociale che si vuole soddisfare. Implica, inoltre, lo spostamento dell'accento dal mezzo, l'automobile, al soggetto, l'utente, privilegiando, rispetto a quelle della tutela dei diritti, le esigenza della erogazione di servizi, primi fra tutti quelli concernenti la sicurezza. In particolare, l'obiettivo deve essere quello di contrastare una tendenza fortemente proprietaria, tipica di molti automobilisti italiani, svolgendo, al contrario, un'azione generale di formazione alla mobilità. Debbono venire incentivate, quindi, forme di trasporto già praticate altrove, ma in Italia quasi inesistenti, quali l'uso collettivo o quello condiviso dell?automobile, che contribuiscono al diffondersi di una nuova cultura degli strumenti di mobilità. Soprattutto, deve essere garantita la più ampia diffusione del trasporto pubblico multimodale, quale credibile alternativa al trasporto individuale. In ragione del ruolo centrale che ancora è destinato a rivestire l?automezzo privato, si devono, infine, perseguire e adottare rapidamente, in sinergia con il mondo della ricerca e con le imprese di settore, le soluzioni tecnologiche già disponibili, basate su veicoli a 'emissione zero'.
Non basta cambiare mentalità, abitudini e mezzi; è necessaria anche una nuova cultura del territorio, associata a un coerente riassetto infrastrutturale.
Come si può conciliare la libertà connessa alla responsabilità personale della guida, con la sicurezza? Come si può conciliare l'esigenza di fare del trasporto automobilistico uno strumento socialmente responsabile, con la sua capacità di incarnare anche la legittima esigenza di sottrarsi, almeno in alcuni momenti, ai legami sociali consolidati? A supporto delle soluzioni logistiche e tecnologiche, due fattori vanno specificamente segnalati, perché concernono sia la sicurezza sia la libertà connessa alla mobilità: quello di una nuova cultura del territorio e quello dell'adeguamento delle infrastrutture. Cultura del territorio comporta, da un lato, un programmatico rispetto per l'ambiente, concepito come una risorsa limitata, da utilizzare preservandola; comporta, dall'altro lato, razionalità e stretta correlazione tra sviluppo urbano e mobilità. Per quanto concerne le infrastrutture, è evidente che si tratta di una componente essenziale dello sviluppo economico e sociale, per cui è necessario un rilevante salto di qualità in termini progettuali, realizzativi, gestionali, per restare al passo con le esigenze dello sviluppo stesso, ma anche per ridurre i rischi connessi ai disagi di un traffico opprimente nonché di lunghe e faticose percorrenze.
La piattaforma tecnologica della mobilità va integrata con quella della comunicazione, per accrescere la sicurezza e le possibilità di orientamento.
L'automobile, in un secolo di sviluppo, si è trasformata in modo straordinario, interpretando e spesso creando i diversi modelli di crescita sociale e culturale. A dispetto di evidenti criticità, questa trasformazione prosegue oggi in maniera anche più radicale. L'innovazione dell'auto è un requisito imprescindibile per la crescita complessiva della società e, dunque, o saprà farsi risorsa sostenibile, o rischierà di diventare un fattore di sofferenza endemica sia per chi la possiede sia per chi non ne può o vuole disporre. Soltanto una piattaforma tecnologica integrata appare in grado di mediare e governare le diverse tecnologie, trasformandole, tra l'altro, in un fattore di scelta tra mobilità reale e mobilità virtuale. In particolare, deve essere incentivata l'integrazione tra le tecnologie della mobilità e quelle della comunicazione. Il problema non è quello dei terminali per le comunicazioni in automobile, né quello dell'inserimento nel cruscotto di congegni sofisticati e complessi, che accrescerebbero il rischio di distrazione. Il problema è quello di concepire la comunicazione come un sistema di controllo e di autogoverno del mezzo, che liberi il conduttore, senza condizionarne la sicurezza, e ne accresca le possibilità di orientamento.
La mobilità responsabile richiede la sistematica convergenza di pratiche e di operatori, di strutture associative e di istituzioni, in un confronto finalizzato.
Fino a ieri il riferimento all'automobile possedeva un rilievo prevalentemente strumentale; oggi concerne tutti i soggetti protagonisti della mobilità, chiamati a collaborare per rispondere alle diverse esigenze della vita individuale e collettiva. A loro, nei diversi ambiti di responsabilità, si rivolge un'etica della mobilità articolata in modelli formativi, normativi, comportamentali rispondenti a un autentico progetto d'insieme. In prima istanza, si rivolge all'ACI e agli Automobile Club territoriali, che rappresentano non soltanto i propri associati, ma anche quanti manifestano esigenze di mobilità e sono chiamati a selezionare modi e tempi per soddisfarle. In seconda istanza, si rivolge alle istituzioni di riferimento, alle quali richiede disponibilità all'ascolto e fantasia operativa, per ottimizzare le situazioni esistenti e soprattutto per rendersi interpreti di un cambiamento che non concerne questo o quel settore, ma il sistema economico, sociale e culturale nel suo complesso. In terza istanza, si rivolge agli operatori dei mezzi di trasporto pubblico, le cui scelte, invece di ritorcersi a volte sulla stessa possibilità di muoversi, devono assicurare un'affidabile offerta di mobilità efficiente e qualitativa.
L'etica della mobilità responsabile si richiama a un sistema di regole condivise, non condizionanti, ma sollecitanti.
Quando si parla di scelte, non ci si può limitare a quelle obbligate che derivano dalle paure collettive, ma ci si deve proiettare su tre prospettive comportamentali - verso gli altri, con gli altri, per gli altri - che costituiscono delle vere e proprie condizioni di libertà. Comportarsi 'verso' gli altri chiama in causa un vincolo di partecipazione che non consente di interpretare la mobilità come un andare fuori, ma come un andare dentro: dentro la comunità, dentro la società, dentro ogni situazione potenzialmente condivisa. Comportarsi 'con' gli altri chiama in causa un vincolo di condivisione, da cui si evince che, per muoversi verso il futuro, è necessario che tutti possano farlo, che nessuno debba trovare condizionamenti nelle caratteristiche delle proprie maggiori o minori abilità. Comportarsi 'per' gli altri chiama in causa un vincolo di responsabilità, che si concretizza in una visione allargata del proprio modo di essere, di cui tutti gli altri fanno parte. In questo senso, la responsabilità configura un duplice percorso, non a caso connesso alla mobilità: di andata, da sé verso l'altro, per prendere coscienza delle sue domande e delle sue risposte, e di ritorno, dall'altro verso se stessi, per recuperare la propria identità come una identità collettiva, che non divide, ma unisce.